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Rocco Chinnici: celebrato l’anniversario della morte di un Magistrato con grande intuito

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“L’importante è non abbassare la guardia e proseguire nelle linee tracciate da mio padre, che si sono rivelate vincenti. In questi anni abbiamo parlato tanto di legalità, ma non basta solo parlarne, dobbiamo porci come modelli credibili. La lotta contro la criminalità organizzata non è persa: non è stata ancora vinta e per questo non bisogna abbassare la guardia”. L’ha detto Caterina Chinnici, figlia del magistrato ucciso il 29 luglio di 34 anni fa, magistrato anche lei e attualmente europarlamentare del Pd. La figlia di Rocco Chinnici ha partecipato alla commemorazione in via Pipitone Federico, a Palermo, luogo della strage in cui morirono anche i carabinieri della scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. “Sta emergendo quello che si è verificato negli anni: c’è un’antimafia seria e una di facciata. Il fatto che in questo periodo sta emergendo la seconda, non può che essere positivo per sgombrare il campo e puntare su quella che vede come protagonista non solo le forze dell’ordine e della magistratura, ma un contesto più ampio di cittadini e associazioni di giovani su cui io punto molto per il cambiamento di questa città”, ha concluso Caterina Chinnici.

“Papà certamente fu lasciato solo e isolato in momento in cui la sua azione non solo non venne compresa ma fu anche osteggiata da parte delle istituzione che in quegli anni erano in combutta con la criminalità organizzata -ha detto Giovanni Chinnici, figlio di Rocco -. Certo, leggendo oggi certe pagine scritte da lui si vede come molte delle sue idee sono attuali. Mio padre inaugurò quella figura di magistrato come la intendiamo oggi: non un funzionario dello Stato, ma un uomo che scende nel sociale, che si confronta e parla con i giovani. Questo è il suo messaggio più importante. Mio padre ebbe due intuizioni – aggiunge -. Comprese negli anni ’70 che la mafia cambiava pelle e diventava potente grazie ai proventi del traffico di stupefacenti e capì che il singolo magistrato non poteva essere efficace; creò un gruppo di lavoro il pool antimafia, dove chiamò Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. La seconda intuizione fu quella di colpire i patrimoni, a partire dal 1982 con la legge Rognoni-La Torre. Infine, stabilì un rapporto con i giovani, in anni in cui c’era chi metteva in dubbio l’esistenza della mafia. Invece, lui andò nelle scuole a parlare con i ragazzi”.

Un ricordo del magistrato anche da parte del presidente del Senato Piero Grasso che in una nota commenta: “Un altro ricordo doloroso. 29 luglio 1983, Via Pipitone, Palermo: la mafia uccide con un’autobomba Rocco Chinnici e, con lui, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, il brigadiere Salvatore Bartolotta, il portiere dello stabile in cui abitava il giudice, Stefano Li Sacchi. Chinnici fu tra i primi a capire la dimensione e la peculiarità della mafia. Fu proprio lui, ad esempio, a insistere per il coordinamento delle indagini su ‘cosa nostra’, l’unico modo per poterla combattere in modo efficace: fu l’inizio del famoso pool antimafia di Falcone e Borsellino, quello che pochi anni dopo portò alla sbarra la Cupola nel maxiprocesso. “Papà Rocco” mi ha insegnato molto: io – come altri giovani magistrati che lui amabilmente chiamava “i plasmoniani” – ho imparato tantissimo da questo incorruttibile uomo, profondamente innamorato del suo lavoro e sinceramente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata”.(ANSA).

“Mio padre ha saputo guardare oltre infrangendo gli schemi, il suo metodo di lavoro ha dato un impulso di cambiamento rispetto al quale non si è tornati e non si tornerà più indietro”. Così, sabato al Palazzo di Giustizia di Palermo, Caterina Chinnici ha introdotto la presentazione della nuova edizione de “L’illegalità protetta” (Glifo), volume in cui sono riuniti alcuni dei rari scritti di Rocco Chinnici, l’artefice del pool antimafia ucciso 34 anni fa dalle cosche con un’auto-bomba in via Pipitone Federico. Nella strage del 29 luglio 1983 persero la vita anche i carabinieri della scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, oltre a Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile dove il magistrato viveva. Tutte le vittime sono state ricordate con la deposizione di corone di fiori nel luogo dell’attentato, alla presenza delle autorità civili e militari, e con una messa presso il Comando della Legione Carabinieri Sicilia. Tra i presenti nell’aula magna “Falcone Borsellino” il presidente della Corte d’Appello Matteo Frasca, il procuratore generale Roberto Scarpinato, il capo della Procura della Repubblica Francesco Lo Voi, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette, il comandante interregionale Luigi Robusto e il comandante della Legione Sicilia Riccardo Galletta, il prefetto Antonella De Miro, il commissario dello Stato Claudio Sammartino e il questore Renato Cortese. “Rocco Chinnici non fu semplicemente la vittima di una setta di feroci assassini che vivevano nella città dell’ombra – ha detto Roberto Scarpinato – ma fu vittima di un sistema di potere composto da personaggi che abitavano i piani alti della città della luce e per i quali i magistrati come lui rappresentavano un corpo estraneo. Si trattò di un delitto di sistema”. Per Francesco Lo Voi “il ricordo di Rocco Chinnici passa attraverso le sue stesse parole: il dovere di un magistrato è fare”. “Questa filosofia del fare – ha aggiunto – lo rende un visionario nell’accezione positiva del termine, inteso come colui che è proiettato nel futuro attraverso le azioni. Fortunatamente quel suo hobby del fare ha contagiato ampi settori della magistratura”. (ANSA)

In foto da sx Ninnì Cassara, Giovanni Falcone e Rocco Chinnici tutti uccisi dalla mafia

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