Antonio Zucaro: ripensare la pubblica amministrazione
Il progressivo degrado delle amministrazioni pubbliche è una delle cause principali della crisi italiana. Malgrado l’onestà e l’impegno della grande maggioranza dei funzionari aumentano inefficienza e corruzione.
Il sistema amministrativo italiano va male perché troppo spesso i titolari delle funzioni pubbliche fanno di queste un uso strumentale, per realizzare o difendere propri interessi particolari sacrificando l’interesse generale del Paese. A cominciare dalla politica, che abusa del comando sulle amministrazioni per alimentare clientele, distribuire poltrone, ottenere finanziamenti, cercare voti.
Sono fallite le riforme di questi ultimi anni: le leggi anticorruzione, il codice degli appalti, le leggi di semplificazione. Soprattutto è fallita l’ennesima “riforma” della Pubblica amministrazione, del Governo Renzi e del Ministro Madia, la settima in venticinque anni. “Riforme“ anche diverse ma tutte collocate sulla linea della “privatizzazione“, la cultura del neoliberismo, l’indirizzo del “meno Stato più mercato”, che ha portato a tagli di spesa sui servizi pubblici, dalla sanità all’ istruzione all’ assistenza, ed alla riduzione della spesa per il personale pubblico, con la riduzione degli organici e il blocco delle retribuzioni. Inoltre, ha prodotto un restringimento del settore pubblico attraverso la privatizzazione delle principali Aziende di Stato. Per l’assolvimento di particolari funzioni le Amministrazioni pubbliche hanno creato società di diritto privato, come la Consip o le società partecipate degli Enti locali. Altre funzioni sono state esternalizzate, ovvero cedute a società private, dall’ informatica ai servizi di supporto. Le conseguenze di queste “ innovazioni “ sull’ efficienza dei servizi e sulla diffusione della corruzione sono ben note.
Queste esperienze svelano la pesante contraddizione alla base della cultura della privatizzazione, secondo la quale, per realizzare meglio gli interessi generali, il sistema pubblico dovrebbe seguire il modello delle aziende private, ideato per realizzare interessi particolari. In realtà, i decisori del sistema pubblico usano le privatizzazioni per violare l’interesse generale e perseguire i propri interessi particolari, di partito o di categoria o personali, anche attraverso le più facili connessioni con gli interessi forti della finanza, della rendita, delle grandi aziende.
Con la copertura del principio privatistico della “fiduciarietà“ del rapporto tra azienda e dirigente le autorità politiche hanno puntato allo spoils system, ovvero alla discrezionalità della nomina e revoca dei dirigenti, per distribuire posti agli “ amici “ e poi per condizionarne l’ attività amministrativa col ricatto del licenziamento.
La contrattazione collettiva nelle amministrazioni, invece di regolare il rapporto tra prestazioni e retribuzioni, è diventata uno scambio tra miglioramenti retributivi e consenso elettorale dei pubblici dipendenti. Bloccata dal 2009, per effetto dei vincoli UE, ripristinata dall’ Accordo stipulato tra il ministro Madia e i sindacati pubblici tre giorni prima del Referendum costituzionale, questa prassi oggi conduce alla stipulazione dei Contratti collettivi del pubblico impiego subito prima delle elezioni, con aumenti netti medi di circa 50 € mensili, neppure un terzo della riduzione del potere d’acquisto degli stipendi dopo dieci anni di blocco.
È possibile prendere un’altra strada, applicando i principi della Costituzione: art. 54, adempimento delle funzioni pubbliche con disciplina ed onore; art. 97, organizzazione degli uffici per assicurarne buon andamento e imparzialità; art. 98, pubblici funzionari al servizio esclusivo della Nazione. Occorre una svolta nella politica amministrativa, al di là dell’ideologia della “privatizzazione”. A monte c’è la definizione di politiche pubbliche progressiste, nell’ interesse generale, con un incremento delle risorse ed un miglioramento della sanità pubblica, dell’istruzione pubblica, della tutela pubblica dell’ambiente e così via, fino al Fisco, che con la lotta all’ evasione e la tassazione effettiva di rendite e grandi patrimoni dovrà coprire l’aumento della spesa. In particolare, occorre un programma mirato di assunzioni di dipendenti pubblici, per riequilibrare i massicci pensionamenti in atto, per stabilizzare i troppi precari dalla ricerca alla sanità, per aumentare gli organici di alcuni uffici chiave. Un esempio tra tutti: gli Ispettorati del lavoro, che in Italia hanno circa 5000 dipendenti mentre in Germania ne hanno 160.000.
Queste politiche vanno poi declinate dagli organi di governo in termini di programmi, piani e progetti specifici, valutati nella loro attuazione da parte delle assemblee elettive, ai diversi livelli istituzionali. Valutazione della spesa, dei risultati, del buon andamento degli uffici, a preventivo e a consuntivo; conseguente riorganizzazione delle strutture, dei bilanci e delle attività amministrative, così da consentire un controllo democratico delle Assemblee elettive sul funzionamento degli apparati, come in USA, Gran Bretagna, Francia. Anche con l’attivazione di forme di controllo sociale diffuso da parte di associazioni di cittadini sull’ esercizio delle singole funzioni pubbliche.
Non è possibile realizzare nessuna riforma se non c’è una amministrazione pubblica in grado di attuarla. Perciò, sulla questione amministrativa sollecitiamo l’attenzione e l’impegno comune sia dei cittadini che dei funzionari pubblici fedeli alla Costituzione.
Roma, aprile 2018
Presidente dell’Associazione “Nuova Etica Pubblica”